Ho rimandato questo viaggio a lungo e per svariati motivi, ma finalmente il momento è arrivato. Partiamo in 18, una folla, con un'età che spazia dai 15 agli 81 anni, a dispetto di chi pensa che un gruppo debba essere necessariamente omogeneo. L'Islanda ci accoglie luminosa, seppur arriviamo nel cuore della notte, con un aeroporto troppo piccolo per i tanti viaggiatori in arrivo, ed una valigia assente all'appello, che ci costringe al banco di Lost & Found. Il viaggio si svolge prevalentemente in ostelli, con cucina e bagni condivisi che richiedono un sicuro spirito di adattamento. E' una terra variegata: brulla, verde, lavica, desertica, ribollente, sulfurea, una natura estrema e primordiale, glaciale ma con un cielo azzurro ove galleggiano nuvole bianche che si tingono di rosa quando il sole sembra tramontare, ma che invece non viene mai oscurato dal buio, disorientando il nostro ritmo biologico. Non descrivo le 2 settimane giorno per giorno, bensì cito quello che mi ha maggiormente colpito.
I geyser sono l'espressione vera del cuore della terra, quel suo dire "Io esisto! Guardami, sentimi, ho un anima anch'io. Rispettami!". La piana tra i ghiacciai Jangjokulle e Hofsjokull, aspra e inospitale, col suo: "Vediamo chi vince" e tipicamente vince lei. Il 3o ostello molto spartano ci accoglie con un trattore che smonta i bagni, per cui faremo in 18 con un bagno solo :-) Una ruota bucata (2 volte) per scoprire che uno dei 2 van ha i pneumatici irregolari, alla faccia della professionalità di Europcar. Thingvellir con le sue spettacolari fratture tra le zolle tettoniche nordamericana e euroasiatica; mentre cammino ricordo le lezioni delle scuole medie che riguardavano Pangea e la deriva dei continenti, argomento che mi ha sempre affascinato. Numerose cascate (foss) che, con la loro imponenza, si tuffano dai vari livelli sollevando generosi spruzzi d'acqua che, con la rifrazione della luce del sole, regalano arcobaleni. Animali: foche (poche), cigni, gabbiani, pecore (tante), mucche, cavalli (dalla taglia minuta), sterne, tenerissime pulcinelle di mare, gabbiani in fase riproduttiva, papere, cuccioli di volpi artiche che giocano come gattini... Canyon costituiti da pareti di basalto costringono a sollevare lo sguardo e sembrano cesellate da un appassionato di geometria. Il mare ingrossato da vento, s'insinua tra i capelli senza riempirli di salsedine. Le case di legno colorate sono prive di dispositivi di sicurezza, le finestre si affacciano alla luce e la vita scorre lenta. L'acqua calda geotermale esce dai rubinetti riempiendo le narici di odore di zolfo. La terra ribolle dalle solfatare, con l'acqua grigia delle caldere sparse in una tavolozza di rossi, ocra, verde salvia, oro, azzurro. Trovare una birra (alcolica) non è così scontato: viene venduta solo nei Vinbudin che hanno orari proibitivi per noi, anche i rari pub chiudono appena dopo Carosello. Il lago Myvatn fa l'occhiolino al vulcano Hverfjall, nero e cupo, la cui sommità raggiungiamo con un trek che si snoda tra rocce laviche e verdi arbusti. Askya, il super vulcano, che scopriamo dopo ore ed ore di sterrato cangiante e che presenta 2 guadi, il primo dei quali affrontiamo con Marassi al volante ed un certo timore. L'applauso nasce spontaneo a dimostrazione della tensione che si scioglie una volta arrivati sull'altra sponda. Circondato dalla catena montuosa Dyngjufjoll, presenta l'enorme caldera che racchiude le acque blu del lago Oskjuvatn e la piccola caldera Viti, con l'acqua sulfurea verde opalescente (latte e menta?). Fiordi a forma di V con un susseguirsi di cascate e pareti ricoperte da vegetazione, ma scavate dal primordiale disgelo. Nuvole che, come soffice ovatta, si adagiano nascondendo le cime delle montagne al nostro sguardo indiscreto. Lagune glaciali dove iceberg galleggiano placidi verso il mare, arenandosi sulla spiaggia nera che così prende il nome di Diamond Beach. Il fronte meridionale della ghiacciaio Vatnajokull che ammiriamo dal gommone, è largo 2km e alto 20mt dal pelo dell'acqua. I paesaggi si susseguono in un miscuglio dall'aspetto lunare, per poi passare a dolci colline verde salvia, a praterie lussureggianti, a steppa rossastra. Il ghiacciaio più grande d'Europa fa capolino tra i verdi monti, la punta bianca si adagia sulle lingue azzurrognole. Che dire di questi islandesi? Discendenti dei vichinghi dagli occhi buoni e dalle mani enormi i cui figli, poco più che adolescenti, lavorano nei supermercati, spesso come cassieri, dando l'ennesimo smacco ai figli di mammà! Mai stati dietro ad una cascata? Certamente la location è molto umida ma è anche un punto di vista davvero alternativo. Musei a cielo aperto presentano auto storiche e casette tipiche dalle finestre a quadretti bianchi. Il monumento alla pace tra Gorbaciov e Reagan è un pugno allo stomaco in questi giorni. Il trek a Landmannalaugar apre il cuore, dalla cima delle montagne colorate dall'abile mano del pittore Natura, lo sguardo abbraccia a 360 gradi un paesaggio da fiaba. Il lago Ljotipollur incastonato tra pareti rosse, riflette nuvole bianche quando il vento non ne increspa la superficie. Reykjavik è il ritorno alla civiltà, città portuale dalle diverse sfaccettature ed un museo fallologico decisamente interessante.
Dopo averla tanto sospirata, questa terra non mi ha affatto delusa, anzi. La sorte ci ha graziato con il meteo, e sono stata molto fortunata per la compagnia. Certamente questa abbondanza d'acqua, fa una certa impressione in questa estate particolarmente siccitosa. I cartelli che descrivono la riduzione del ghiacciaio negli anni, sono l'ennesimo campanello d'allarme, se ce ne fosse ancora bisogno.
Torno a casa con una sensazione rafforzata al rispetto di questo bel pianeta che ci ospita, ricordiamocelo: noi non contiamo nulla ma potremmo fare la differenza.
Alla prossima
Frog (Rosanna)
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