16/08/2011
All’alba uno sciame di mosche ci sveglia infastidendoci più che la luce, c’è chi scatta delle foto, ma poi tutti fuggiamo nelle stanze per recuperare qualche altro minuto di sonno. Dopo una colazione a base di frittellone, miele, marmellata, burro, pane, latte e caffè, risaliamo sui mezzi verso le Gole dello Ziz e, successivamente, andiamo in un villaggio abbandonato dove, un gruppo di bambini mal vestiti, quasi messi lì apposta, ci accoglie tirando dei sassi a chi li fotografa, salvo poi non fare obbiezioni davanti ad un soldino, che però incentiva l’accattonaggio, anche se acquieta le nostre coscienze. Riprendiamo i mezzi e sostiamo a Source Bleu de Meski, una sorgente naturale attraversata da un corso d’acqua così limpida e fresca da volerla bere. Ci entusiasmiamo per fotografare una rana ma, a ben pensare, non abbiamo lo stesso atteggiamento quando siamo in Italia, ma siamo in vacanza e forse per questo tutto è amplificato. Qualcuno vuole carpire qualche scatto alle donne di colore vestite nelle tuniche sgargianti che però non vogliono prestarsi. Si chiede perché non vogliano farsi fotografare, la risposta è ovvia: a nessuno piacerebbe essere fotografati nella propria quotidianità da un’orda di giapponesi quasi fossimo fenomeni da baraccone. Nulla da eccepire! Numerosi bambini ci seguono durante la camminata, offrono in dono dromedari fatti con le foglie, ma in realtà si aspettano qualche soldino e ancora una volta la lotta tra coscienza e umanità lascia l’amaro in bocca. Riprendiamo la strada verso Merzouga, un paesaggio lunare cede il passo a qualche macchia di verde, passiamo la porta che indica il confine con il deserto, e infatti avvistiamo le prime dune che si avvicinano con il loro rosa acceso, vorrei tuffarmi da una di queste e rotolare in questi granelli, avvistiamo i primi dromedari ed alcuni berberi. Arriviamo nell’albergo d’appoggio e ci precipitiamo in piscina per un tuffo ristoratore dopo il tanto caldo. Al tramonto siamo pronti per la nostra cammellata nel deserto dell’Erg Chebbi, agghindati nei turbanti e Nip (o Tuck) vestito di tutto punto nel suo completo berbero blu. I dromedari sono divisi in piccoli gruppi, monta Marco su quello di coda, monto io sul penultimo e la salita non è affatto traumatica rispetto a quanto avevo letto, davanti a me Paolo, poi Nip e infine Tony. Siamo il primo gruppo a partire, il passo lento e dondolante ci accompagna nelle quasi 2h di cammino mentre il cielo s’incendia dei colori del tramonto. Il silenzio ci avvolge facendosi sentire ed i dolci pendii ondulati, punteggiati da macchie di stipa tenuissima, ci accolgono come un abbraccio fraterno. Mi chiedo se il mal d’Africa esiste davvero perché mi piacerebbe abbandonare i miei compagni e vivere con i berberi veri, sotto una tenda, per qualche tempo. Proviamo a fare domande al nostro accompagnatore ma questo non risponde altro che “Ramadam”. Gli chiediamo se qualche volta piove nel deserto, abbiamo la nostra risposta quasi all’arrivo, quando una leggera pioggerella ci da il benvenuto. Al campo tendato, un bel po’ turistico, ci sono altri gruppi ma il nostro è decisamente il più numeroso, dobbiamo scappare nelle tende per un’improvvisa tempesta di sabbia, cof, cof, la polvere entra nelle tende e speriamo tutti che il vento si quieti per permetterci di trascorrere la serata tanto attesa. Infatti così è. In attesa della cena cominciamo con un aperitivo a base di patatine, salatini, olive e, l’immancabile birra che ci siamo fatti recapitare in frigo pieni di ghiaccio (il mio buon proposito di bere solo tè è stato vanificato già dal decollo). La cena si compone di insalata mista, (banditi i tentativi di evitare alcuni cibi per non star male), tajin, pane, anguria. Ci avevano detto di portare le posate, invece queste vengono distribuite al contrario dei piatti, così mangiamo attingendo dal piatto comune e fa molto berbero (con le mani sarebbe stato ancora meglio). Cominciano i suoni di tamburi, il ritmo è incalzante ma trattengo i miei piedi, una volta tanto. Nel delirio collettivo, e dopo la 3° birra, Paolo canta e le ragazze istituiscono la macarena ed il limbo. A fine serata c’è una carrambata tra Nico e un berbero vissuto a Pescara, contrattiamo anche la bionda Elena ma per soli 4 cammelli ce la teniamo volentieri, tzè! Sparecchiano dando il chiaro segnale che è ora di andare a nanna così prendiamo i materassi dalle tende, i sacchi lenzuolo, e ci sistemiamo su una duna per passare la notte. Sulla testa una coperta ricamata da tante stelle e la luna calante che schiarisce il cielo, ahimè qualche nuvola non permette di provare ad identificare le costellazioni. Al centro dell’accampamento si finisce il rhum ma qualcuno era già brillo in partenza. Mentre ascolto l’edificante conversazione che si tiene tra amici stanchi e un po’ ubriachi, guardo il cielo e senza rendermene conto mi addormento. Mi risveglio poco dopo, le ragazze stanno ancora parlando a voce alta dicendo “Stiamo facendo casino …” ma vaaaa :-) Mentre le sento allontanarsi per una passeggiata borbottando che i ragazzi stanno dormendo da un po’, anche con gli occhiali ancora indosso, mi riaddormento. La notte scorre nel dormiveglia, quando son desta controllo la situazione di chi mi circonda e aspetto che cominci a schiarirsi per l’alba.
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