17/08/2011
Una folata di vento ci costringe a chiuderci nel bozzolo del sacco lenzuolo come crisalidi, per ripararci dalla sabbia. Il vento si placa ed il cielo comincia a tingersi di giallo tra gli scatti delle macchine fotografiche. Mi allontano affondando i piedi nudi nella sabbia perché voglio godermi questo spettacolo in silenzio, mi siedo su una duna osservando il lento incedere del disco che ci da la vita, scrivo qualcosa nella sabbia, una promessa che non ho potuto mantenere. Opposto al sole che sorge, il cielo assume una gradazione carta da zucchero che ben si sposa con il rosa antico della sabbia e, tra le nuvole e la luna, appare un arcobaleno. Torno indietro lasciando il mio posto in prima fila allo spettacolo della natura, raggiungo il gruppo che si appresta a ripartire tornando all’albergo in sella ai nostri dromedari. E’ nuvoloso ma, dopo colazione, facciamo ugualmente un tuffo in piscina anche solo per riprenderci dalla notte passata quasi in bianco. Dopo la doccia nuovamente in viaggio verso le Gole del Dades. A pranzo facciamo tappa in un ristorante lungo la strada, la cucina è varia e veloce, ahahah, 2h per un piatto a testa che, nonostante ci siano comande diverse, sembra la stessa pietanza disposta in modi alternativi. Arriviamo in prossimità dei monti dell’Atlante, la vegetazione è così rigogliosa che non sembra di essere in un paese africano. Le persone nei paesi camminano con quell’indolenza tipica del ramadam, i bimbi giocano per strada, qualche adolescente, con bottiglie di plastica, va alla sorgente per prendere l’acqua. Raggiungiamo i fuoristrada che abbiamo noleggiato, con Lavinia, Paolo, Antonio e Valerio parto con l’autista che sgomma e ha uno sguardo satanico, in realtà scopriamo che ha 35 anni, 2 figli, ed è il migliore degli autisti tant’è che apre la carovana controllando gli altri costantemente. Ha piovuto ed il fiume in qualche punto è straripato invadendo la strada con la sua acqua color argilla. Andiamo avanti e saliamo parecchio, qualche tappa intermedia a beneficio delle macchine fotografiche e poi ci addentriamo nel vero tratto sterrato. Siamo solo noi e la natura, un paesaggio brullo e completamente diverso rispetto a quello visto fin’ora, lo sguardo si perde in quello che sembra il confine del mondo, stringiamo i denti al freddo perché gli occhi possano godere appieno di quello che ci circonda. Mi aspetto di vedere Mel Gibson in Braveheart spuntare da uno dei pendii. Alcuni scorci, man mano che ci spostiamo, riempiono l’animo di quelle sensazioni indefinite che ti saziano come cibo per gli affamati. Ho le batterie della macchina fotografica scariche dal giorno prima ma credo che nessuno scatto possa rendere giustizia a quanto ci circonda. Veniamo in contatto con i nomadi che vivono di pastorizia, i tratti del viso particolari, la pelle scura, i vestiti pesanti e colorati. Mi chiedo il livello di alfabetizzazione dei bambini e ti si stringe il cuore al pensiero che nel 2011 ci siano ancora tali situazioni. Queste genti vivono solo di quello che producono, senza alcuna delle comodità cui siamo abituati. Mi accarezza l’idea, da quell’impulsiva che sono, di trasferirmi in queste zone per organizzare una scuola itinerante tra i vari villaggi, ma dubito di trovare mai il coraggio di concretizzare questo pensiero. Quando prendiamo nuovamente la strada asfaltata ritornando ad una realtà più a ns misura, mi sembra che mi sia stato tolto quello che ho sempre desiderato. Arriviamo ad uno spiazzo che si affaccia su un’incredibile vallata al tramonto, gli autisti si fermano per la cena di fine ramadam mentre noi scattiamo foto goliardiche tra cui quella dei 20. Ripartiamo ancora una volta arrivando alle gole a buio inoltrato, peccato, si vede così poco. Tra le pareti di pietra si staglia un cielo nero e stellato, a terra scorre il fiume marrone con un bel gorgoglio. Rompiamo le scatole, con le nostre pile, a qualche pipistrello e qualche piccione e proseguiamo verso il nuovo albergo, quando arriviamo scopriamo che l’illuminazione a lume di candela non è per rendere il luogo più suggestivo ma perché manca la luce. Con lo spirito che ci contraddistingue facciamo spallucce e ci distribuiamo in camere da 3/4, dalla pulizia empirica, in un dedalo di scale e piani non facilmente comprensibile. La cena, dopo l’aperitivo a base di birra, si compone di una zuppa senza infamia e senza lode, e del solito cus-cus con verdure lesse. Dopo una passeggiata per strada illuminata dalle pile e qualche manche del gioco “Se fossi…” torniamo in albergo e, finalmente, torna la corrente…tardi!
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